venerdì 10 maggio 2013

EPATITE B, GLI OVER 35 A RISCHIO: UN ITALIANO SU DUE POTREBBE ESSERNE MALATO


EPATITE B, GLI OVER 35 A RISCHIO: UN ITALIANO SU DUE POTREBBE ESSERNE MALATO


Una persona su due potrebbe non sapere di essere infetta dal virus dell’Epatite B. A rischio è soprattutto la fascia di età tra i 35 e i 55 anni. Gli under 35 infatti sono di solito protetti, grazie al programma vaccinale introdotto nel 1983 e obbligatorio dal 1991, sopra i 55 anni l’incidenza si riduce, poiché persone infette venute a contatto col virus durante la loro vita e quindi a volte immunizzati naturalmente. 
Se si tratta di un portatore “inattivo” o sano, come veniva definito fino a qualche tempo fa, le transaminasi valutate con un semplice prelievo di sangue sono normali, qualora fossero “mosse” o francamente alterate il consiglio è di fare il test, rapido, non invasivo, sicuro e poco costoso. 
«Se il partner risulta negativo sia allo screening dell’antigene HBsAg sia dell’anticorpo anti-HBs e anti-HBc, allora si consiglia la vaccinazione - illustra il dottor Adriano Pellicelli, Responsabile Ambulatorio di Epatologia all’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma -, se risulta positivo agli anticorpi non vi è un’indicazione al vaccino e il soggetto è naturalmente protetto. Se è positivo per l’antigene si procede con un prelievo di sangue per testare le transaminasi (ALT e AST). Qualora siano alterate, il soggetto va tenuto sotto osservazione nel tempo, eventualmente si procederà alla biopsia epatica o al fibroscan, indagine non invasiva che valuta la sola fibrosi del fegato. Può essere successivamente opportuno procedere alla mappatura genetica del virus e al dosaggio ematico con un esame del sangue detto HBV Dna». La vaccinazione, la presenza di terapie efficaci, il miglioramento delle condizioni igienico sanitarie e uno stile di vita sano sono fattori determinanti nel ridurre il rischio infettivo.
Oggi sono disponibili terapie antivirali in grado di controllare la malattia e aiutare a prevenire o ridurre lo sviluppo di complicanze gravi come la cirrosi o il tumore del fegato. «Le opzioni terapeutiche sono fondamentalmente di due tipi- conclude l’esperto -. L’interferone, che agisce potenziando la risposta del sistema immunitario nei confronti dell’infezione e quindi l’eliminazione del virus; oppure gli antivirali nucleosidici o nucleotidici come entecavir e tenofovir, che riescono a bloccare totalmente la replicazione del virus e in certe percentuali ottengono quella che è considerata la risposta ideale al farmaco: la negativizzazione del virus nel sangue».
fonte: leggo
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