mercoledì 29 maggio 2013

Contro la crisi si torna a coltivare In tre anni previsti 100mila posti in più

Contro la crisi si torna a coltivare
In tre anni previsti 100mila posti in più

Contro la crisi si torna a coltivare In tre anni previsti 100mila posti in più

In controtendenza sulla crisi le assunzioni nelle aziende agricole hanno avuto un incremento del 3,6 per cento. E di qui al 2016 si creeranno decine di migliaia di nuovi impieghi, assicura Coldiretti che vede una una rivoluzione culturale in corso: perché sono in tanti a voler fare i contadini e addirittura a preferire questo lavoro a quello in un ufficio. Si espandono i movimenti per recuperare i terreni pubblici lasciati abbandonati

ROMA - Contadino è meglio. Per salvarsi dalla crisi, per avere un lavoro indipendente, per uscire dai ritmi disumani della città. Le terre? Ci sono, basta recuperare quelle pubbliche lasciate incolte, come chiedono sempre più associazioni. Secondo Coldiretti è in corso una vera e propria rivoluzione culturale rispetto ai tempi in cui campagna era sinonimo di arretratezza e sono tanti i giovani pronti al salto. Meglio lavorare la terra che un lavoro lavoro precario, meglio la campagna di un posto in ufficio. Ne sono convinti la metà dei giovani tra i 18 e i 34 anni contattati dalla Swg per conto della Coldiretti. Giovani - oltre 1600 gli intervistati - che preferirebbero gestire un agriturismo, coltivare la terra, piuttosto che finire dietro la scrivania di una banca (il 23 per cento). Una rivoluzione culturale che non riguarda, solo gli under 40: il 28 per cento degli italiani scambierebbe il proprio lavoro con quello di agricoltore.

E come dargli torto se si prende in esame un altro dato: in controtendenza con l'aumento del numero dei disoccupati in Italia crescono le assunzioni nelle aziende agricole che registrano un incremento record del 3,6 per cento. E la tendenza al rialzo (si basa su dati Istat del 2012) se selezionata, mostra come sia cresciuta: il 7,2 per cento al Nord, l'11,2 al Centro e l'1 al Sud. Non solo: per la Coldiretti si creeranno 100mila posti di nuovi posti di lavoro nel settore nei prossimi tre anni. Oggi i nuovi contadini hanno spesso almeno un diploma in tasca se non una laurea e non per forza in Scienze Agrarie (i titolari di un'azienda agricola con diploma universitario sono aumentati in un anno del 9 per cento, mentre i laureati in altre materie del 24,6% secondo Confagricoltura).

 Insomma a conti fatti, un popolo non solo in aumento ma sempre più giovane (si stima infatti che abbia meno di 40 anni un lavoratore dipendente su quattro assunti in agricoltura) costretto, però, a fare i conti con non pochi problemi. Primo tra tutti l'accesso alla terra e di conseguenza al credito. Un tema caldo, dibattuto, intorno al quale si discute da anni. E che si dirama in più rivoli. A iniziare dai costi degli ettari: troppo alti, nel nostro Paese "rispetto ad altre nazioni come ad esempio Francia, Germania, Spagna", racconta Luca Brunelli, presidente dell'Agia, l'associazione dei giovani agricoltori, costola della Cia (la Confederazione italiana degli agricoltori). "Da noi un ettaro di terra costa tra i 18 e i 20mila euro, nel resto d'Europa tra i sette e gli ottomila", aggiunge. Per questo l'Agia spinge, affinché anche da noi venga istituita "una commissione dello Stato ad hoc, come esiste in Francia, che si occupi di compravendita".

Ma i giovani coltivatori di conti, da fare, ne hanno più d'uno. Tra questi anche la vendita, l'affitto e la gestione di quei terreni pubblici abbandonati. Dei quali, però, poco si sa visto che, aggiunge Brunelli, "a giugno scorso doveva uscire il loro censimento: quante sono dove si trovano e a chi appartengono". A quasi un anno di distanza, però, ancora "non se ne sa nulla", aggiunge il presidente dell'Agia. Terre di Regioni, Comuni, Province, Asl, enti pubblici. Che potrebbero cambiare le sorti di chi vorrebbe avere un futuro da contadino ma non ha budget sufficienti per buttarsi nell'impresa. Tanto da far nascere dei movimenti di giovani che "combattono" affinché siano messe a bando, affittate,  distribuite a chi vorrebbe coltivarle trasformando così un bene inutilizzato in una risorsa anche in termini di servizi per i cittadini. Li chiamano per lo più presidi, ma hanno il sapore di vere e proprie occupazioni, seppur simboliche. almeno in Italia, nel resto d'Europa meno. (E qui ne puoi sapere di più).

Nonostante le difficoltà c'è, però, anche chi riesce a farcela, investendo i propri risparmi o utilizzando un vecchio terreno di famiglia. Per tutti la scelta è quasi sempre la stessa: fra il precariato in azienda o in uno studio legale e una piccola attività agricola dove rischiare in proprio, meglio optare per la seconda possibilità. Anche se si ha una laurea in tasca.

Così si scopre anche che tra i giovani agricoltori ci sono coppie che hanno perso il lavoro e hanno deciso di investire tutto in un terreno o un agriturismo. Spinti dalla crisi, ma anche da un hobby che diventa professione. E' infatti perlopiù la passione a farli tornare alla campagna (nel 36% dei casi secondo il sondaggio) o la spinta a tenere in vita l'azienda di famiglia. Come del resto ha fatto Giorgio Poeta, 28 anni, laureato in Agraria che ora riesce a mantenersi coltivando miele. Un interesse nato quando studiava all'università e sul quale nel tempo ha investito, anno dopo anno, piccole cifre. "Ora ho una piccola azienda  -  dice  -  e mi ritengo più fortunati di tanti miei colleghi agronomi disoccupati che non riescono a trovare lavoro". Per molti il ritorno alla terra è una volontà, per altri una necessità. Per tutti i giovani contadini una realtà.

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